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SINFONIA CROMATICA. Il colore come linguaggio del personaggio nel racconto audiovisivo

  • Immagine del redattore: carlabelloni
    carlabelloni
  • 30 mar
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 31 ago


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C’è una grammatica invisibile che guida le nostre emozioni mentre guardiamo un film, una serie, un videoclip, una pubblicità. Una grammatica fatta di luci, di scelte stilistiche, di inquadrature, ma soprattutto di colori. Non semplici dettagli estetici, ma segni narrativi capaci di suggerire, contraddire, svelare o tradire ciò che un personaggio è o sta diventando.

Sinfonia cromatica nasce da qui: dal desiderio di leggere il colore come si legge una partitura, seguendone le variazioni emotive, simboliche, psicologiche. Perché ogni personaggio, quando appare in scena, è già racconto, prima ancora di parlare. Il colore dei suoi abiti, della luce che lo accoglie, dell’ambiente in cui si muove, è parte del suo mondo interiore e del suo destino narrativo.

Anche in questo caso, la lettura del colore passa attraverso livelli sensoriali e percettivi profondi, legati alla nostra storia evolutiva e psicologica, prima ancora che culturale. Non analizzeremo il colore da un punto di vista storico o antropologico, perché quel tipo di lettura ha confini geografici e temporali precisi. Nel linguaggio audiovisivo e nel cinema in particolare il colore lavora su un piano universale, che coinvolge il corpo, la psiche, l’istinto. È un linguaggio che non ha bisogno di essere tradotto.

Quando si costruisce un personaggio, i colori che lo definiscono non vengono scelti secondo una logica soggettiva, se non in rari casi autoriali dichiarati. Questo perché, a meno di non conoscere a fondo la visione dell’autore, il messaggio cromatico personale difficilmente arriva allo spettatore. Anche la psicologia del colore, intesa nel senso stretto e accademico, porta con sé una forte componente soggettiva e culturale, che può variare significativamente da un contesto all’altro. Ma il cinema, come la comunicazione visiva in generale, è un’industria che deve parlare a tutti. Per questo si fonda su basi visive consolidate, su reazioni percettive e simboliche condivise, evitando elementi troppo legati a interpretazioni individuali. Lavora su codici cromatici funzionali e riconoscibili, capaci di evocare sensazioni primarie, leggere emozioni comuni, costruire senso attraverso la forma.

Certo, nella storia dell’arte e del pensiero visivo il colore ha assunto significati personali e culturali fortissimi: pensiamo a Vasilij Kandinskij, che associava ogni colore a un suono, a uno strumento musicale, creando un linguaggio sinestetico e profondamente individuale. Oppure ai manifesti del Bauhaus, alla teoria dei colori di Goethe, alle sperimentazioni simboliche di Rothko. In questa rubrica daremo spazio anche a queste visioni soggettive, riconoscendone la potenza e l’unicità, ma ci concentreremo soprattutto sul colore come esperienza condivisa, come linguaggio ancestrale, come sensazione comune che attraversa culture, epoche e codici. Il rosso che agita, il blu che calma, il verde che divide tra armonia e inquietudine.

Alcune tonalità attivano reazioni fisiologiche: il rosso accelera il battito, il blu rallenta la frequenza respiratoria, il giallo stimola l’attenzione. Ma oltre a questo, esiste un sistema di associazioni simboliche profonde: il buio che inquieta, il bianco che espone, il verde che può essere rinascita o veleno. Non sono “significati fissi”, ma tensioni percettive che il cinema conosce e usa. Studi come quelli di Rudolf Arnheim, Sergej Ejzenštejn o Eva Heller hanno approfondito questo legame tra percezione, emozione e struttura visiva. E in ambito semiotico, Roland Barthes definiva il colore come un “segno fluttuante”, capace di ancorarsi al contesto mantenendo comunque una forza primaria, diretta, che lavora sotto la soglia della coscienza.

In questa rubrica ci concentreremo su ciò che il colore fa dentro la scena, non su ciò che rappresenta in senso culturale. Analizzeremo la relazione tra il colore e il personaggio, tra il colore e la trasformazione narrativa, tra il colore e il tempo emotivo della storia. Guarderemo a palette, contrasti, saturazioni, temperature. Ma soprattutto ci chiederemo: perché proprio quel colore, proprio in quel momento, proprio su quel volto?

Non parleremo solo di estetica. Parleremo di senso. Di profondità. Di narrazione attraverso la materia visiva. Perché ogni sinfonia ha i suoi silenzi, i suoi contrasti, le sue dissonanze. E il colore, nel linguaggio audiovisivo, è tutto questo: una traccia invisibile che guida lo sguardo e costruisce il personaggio, scena dopo scena.

Inizia così Sinfonia cromatica: senza preamboli, ma con lo sguardo puntato sui dettagli che fanno la differenza.


Nota personale

Ho scelto di scrivere questa rubrica per mettere insieme due linguaggi che mi appartengono: quello visivo e quello narrativo. Mi interessa il punto in cui la tecnica incontra il significato, in cui la bellezza non è solo forma ma funzione. Sinfonia cromatica è anche questo: un modo per restituire valore allo sguardo, allenarlo a cogliere ciò che spesso resta invisibile.

Perché anche nella vita, come in scena, il colore non è solo qualcosa che si vede. È qualcosa che accade.


Condivido un link di un video caricato su Vimeo da Lidia Seara, che mostra in modo efficace come il colore sia un elemento determinante nel rafforzare la narrazione visiva, sia in ambito cinematografico che in tutti quei contenuti visivi in cui si vuole potenziare il linguaggio divulgativo.


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