Promuovere un corso di make-up tra social e credibilità
- carlabelloni

- 15 apr 2024
- Tempo di lettura: 14 min
Aggiornamento: 26 giu

Nel mio percorso di sviluppo di un metodo didattico audiovisivo accademico, ho realizzato quanto fosse fondamentale approfondire il marketing di influenza mediatica. Comprendere i suoi meccanismi è essenziale per offrire soluzioni efficaci a chi decide di adottare il mio approccio. Fortunatamente, in casa non mi mancavano i libri: con una figlia laureata in Social Media Management, ho avuto la possibilità di accedere a risorse e spunti preziosi fin da subito.
Il marketing di influenza si basa sul coinvolgimento di persone capaci di esercitare un impatto significativo sulle decisioni di acquisto del pubblico, sfruttando la loro autorevolezza, credibilità o popolarità. In pratica, gli influencer agiscono come intermediari tra i produttori e i consumatori, assumendo due possibili ruoli: possono presentarsi come utenti autentici e soddisfatti dei prodotti, o mantenere una posizione di apparente neutralità, suggerendo comunque una connessione indiretta tra il prodotto e uno stile di vita aspirazionale.
Gli influencer vengono compensati dagli sponsor per integrare i prodotti nei loro contenuti social, spesso attraverso video, foto e post, dando vita a una narrazione continua che trasforma la pubblicità in un elemento apparentemente naturale del loro quotidiano. Questa strategia punta a mascherare la natura promozionale dei messaggi, inserendo i prodotti in un contesto di vita ideale che il pubblico associa a successo, benessere e desiderabilità.
Il punto di forza di questo approccio risiede nella capacità di superare le difese psicologiche dei consumatori. In una pubblicità tradizionale, il destinatario è consapevole di essere oggetto di una comunicazione persuasiva e può attivare un filtro critico. Nel caso del marketing di influenza, invece, il messaggio promozionale viene recepito in modo più fluido e meno difensivo, poiché si presenta come un consiglio personale o un'ispirazione di vita. Questo effetto è amplificato dall'abitudine degli utenti a fruire di tali contenuti, che li rende meno consapevoli dell'intento commerciale sotteso.
Questa strategia ha rivoluzionato il panorama del marketing, permettendo ai brand di raggiungere il pubblico in modo più diretto e coinvolgente. Tuttavia, solleva interrogativi etici, poiché può confondere i confini tra contenuti genuini e messaggi pubblicitari, lasciando il consumatore meno consapevole delle dinamiche di persuasione a cui è esposto.
Vorrei partire chiarendo un punto: non ho una formazione specifica in marketing, ma una conoscenza di base acquisita attraverso alcune letture personali. Al contrario, ho una solida esperienza nella gestione didattica dei corsi di make-up e una comprensione approfondita degli elementi che ne determinano l’efficacia. È proprio grazie a questa esperienza che sono riuscita a intrecciare in modo coerente la dimensione formativa con quella comunicativa. Questa consapevolezza mi ha permesso di integrare le due dimensioni, marketing e didattica, in un percorso coerente. Vorrei ora condividere una sintesi della mia visione su come questa integrazione possa essere applicata anche ad ambiti affini, come la promozione dei corsi di formazione nelle accademie di make-up. Si tratta di spunti rivolti a professionisti della comunicazione visiva e del linguaggio aziendale, con l’intento di offrire indicazioni utili per costruire una narrazione coerente con i valori formativi e con la specificità di questo settore.
Seguire i trend social per orientare i consumatori può essere una strategia valida, ma applicarla per promuovere un corso di make-up richiede un’attenzione particolare alla coerenza tra comunicazione e proposta formativa.
Un’accademia non si limita a vendere un servizio, bensì un percorso di crescita professionale fondato su rigore, metodo e competenze. Per questo, un linguaggio troppo orientato ai trend, spesso effimero e superficiale, rischia di essere poco allineato con le aspettative di chi cerca un'istruzione qualificata.
Quando parlo di coerenza tra i contenuti formativi offerti e la comunicazione, intendo esattamente questo: è inutile definirsi accademia di corsi audiovisivi se la proposta didattica si concentra quasi esclusivamente sul trucco estetico legato a trend social. Se ci si proclama accademia di alta formazione nel trucco audiovisivo, anche la comunicazione dovrà riflettere quel livello tecnico e professionale che si intende rappresentare. Diversamente, si crea una distanza tra ciò che si promette e ciò che si insegna.
Per quanto riguarda invece i corsi che formano truccatori unicamente sui trend, preferisco non soffermarmi: quando manca un parametro tecnico di riferimento, vengono meno anche gli strumenti di valutazione. In quel caso, il campo non rientra in una tecnica, ma in uno stile, e quindi per definizione non misurabile.
Uno degli aspetti più delicati della comunicazione formativa è la scelta degli strumenti attraverso cui si intende raccontare l’esperienza didattica. Spesso, nel tentativo di avvicinarsi ai linguaggi dei social, si adottano strategie che funzionano sul piano dell’intrattenimento, ma che faticano a restituire la complessità e la qualità di un percorso di alta formazione. Un esempio emblematico riguarda l’uso delle testimonianze video degli studenti, sebbene molto popolare sui social, non sempre riesce a trasmettere efficacemente il valore reale del percorso formativo. Non tutti gli studenti, infatti, si sentono a proprio agio davanti a una telecamera o sono in grado di esprimersi in modo fluido e competente. Spesso, questi contenuti risultano imbarazzanti, privi di profondità o scollegati dai contenuti effettivi delle lezioni accademiche. Questo può generare una percezione distorta dell’offerta formativa, trasmettendo un’immagine più debole rispetto al reale valore del corso.
Allo stesso modo, anche la produzione di contenuti video che coinvolgono direttamente i docenti merita una riflessione seria. Troppo spesso ci si imbatte in video in cui chi insegna utilizza un linguaggio spicciolo, privo di struttura e significato, in cui riferimenti tecnici vengono appiattiti o completamente ignorati, sostituiti da espressioni banali che sembrano più frutto dell’improvvisazione che di una reale competenza. In questi casi, il rischio è quello di compromettere non solo l'autorevolezza del docente, ma anche la percezione del valore formativo offerto dall'istituzione stessa. Meglio allora puntare su docenti realmente competenti, capaci di comunicare con chiarezza e profondità, oppure evitare del tutto questo tipo di contenuti se non si è in grado di produrli con la cura e la responsabilità che richiedono.
Per ovviare a questo rischio, un’accademia dovrebbe considerare l’adozione di linguaggi non verbali e format comunicativi più strutturati e professionali.
Ad esempio, anziché affidarsi esclusivamente a testimonianze spontanee, si potrebbero creare video che combinino scene di vita accademica reale con una narrazione più curata, magari supportata da un moderatore che guidi gli studenti o i docenti a raccontare la loro esperienza in modo più coerente e rappresentativo.
Inoltre, è fondamentale che i contenuti riflettano le dinamiche didattiche interne, come divulgazioni o dimostrazioni pratiche di tecniche avanzate, interazioni tra docenti e studenti, e presentazioni di progetti conclusivi con costruzioni video creati ad hoc.
Questo tipo di approccio non solo valorizza la professionalità dell’accademia, ma permette anche di evidenziare la qualità della formazione in modo autentico e convincente.
Quello che vedo, troppo spesso, sono invece video che ripercorrono reel virali con "estratti di make-up": applicazione con le mani di cosmetici brillanti sullo zigomo oppure ragazze già truccate che si specchiano ammiccando languide, come se questo potesse davvero aggiungere prestigio a un’accademia di make-up. Sembra che tutto si riduca a una questione di quantità piuttosto che di qualità.
"A chi importa davvero dei contenuti, se possiamo offrire quattro trucchi, glitter e un paio di risate?", sembra suggerire l'accademia.
La triste realtà è che il valore della formazione, della serietà e dell'eccellenza viene ormai messo da parte in favore di strategie di marketing spicciole, che puntano più su trend discutibili che sulla sostanza del messaggio. Ed è un errore enorme, perché alla fine l'utente non si fa ingannare facilmente. Dietro ogni contenuto, la domanda rimane sempre la stessa: cosa c’è di veramente valido dietro?
E se la risposta è “niente”, allora la farsa sarà destinata a finire presto.
Le scelte di comunicazione di un’accademia non sono mai neutrali: riflettono, consapevolmente o meno, la sua identità, i valori e la professionalità che la identificano.
È arrivato il momento di superare pratiche comunicative che, anziché valorizzare l’autenticità e l’eccellenza, rischiano di banalizzare, o peggio, compromettere la percezione dell’istituzione stessa.
Non c’è più spazio per strappare una risata laddove il contenuto dovrebbe essere fondato su serietà e competenza: il risultato, infatti, non è un sorriso genuino, ma spesso un senso di disagio.
Similmente, non basta definirsi “contemporanei” se si propone ciò che è già stato visto, trito e ritrito. La vera contemporaneità risiede nell’innovazione autentica, non nella ripetizione di formule logore.
Un altro errore diffuso è ostentare creatività senza che vi sia una sostanza concreta a sostenerla. La creatività non può essere ridotta a un gesto superficiale, come l’applicazione di un ombretto brillante su una palpebra o strass e fiori sparsi sul viso senza alcun senso, ma deve esprimere una visione chiara, capace di aggiungere valore e linguaggio alla caratterizzazione.
Promuovere la formazione con immagini o pratiche che banalizzano il gesto tecnico, senza alcun contesto tecnico-didattico, non fa altro che abbassare la percezione della professionalità.
È tempo di chiamare le cose con il loro nome: se un’istituzione non riesce a incarnare i valori di serietà, professionalità e innovazione che proclama, allora non si può parlare di accademia nel senso più alto del termine. Serve coerenza tra ciò che si dichiara e ciò che si dimostra, perché solo così si costruisce una reputazione solida e credibile nel panorama formativo.
Se si vuole comunicare, se si vuole attrarre davvero, bisogna farlo con coscienza e intelligenza. La superficialità può attrarre un pubblico momentaneo, ma la vera crescita e il vero valore risiedono nella serietà e nell’eccellenza. Perché se davvero si vuole fare la differenza, si deve alzare il livello, non abbassarlo.
Se poi queste scelte accademiche di comunicazione sono guidate dal celebre "A me mi piace!", allora siamo a posto. State certi che è la risposta giusta per far comprendere il vero livello della formazione proposta.
Per promuovere un'accademia di formazione make-up, l’uso dei trend social è efficace solo se integrato con una comunicazione che rifletta fedelmente la realtà accademica. Trasmettere un’immagine di modernità e creatività deve andare di pari passo con l’evidenziare la serietà e la qualità del percorso formativo, utilizzando strumenti che siano al tempo stesso coinvolgenti e coerenti con i valori dell’istituzione.
In un’azienda che si occupa di formazione nel make-up, la comunicazione non può essere gestita in autonomia da chi si occupa di social media senza un confronto costante con un truccatore competente. Troppo spesso si sottovaluta la complessità culturale e tecnica del make-up audiovisivo, come se bastasse avere familiarità con qualche pennello e un set di cosmetici per saper raccontare questo mestiere. Il risultato? Scelte fotografiche incoerenti, testi che svuotano di senso il lavoro, e una comunicazione che tradisce ciò che dovrebbe valorizzare. Serve una direzione condivisa, dove chi comunica abbia linee guida precise, costruite insieme a chi il mestiere lo conosce davvero.
Inoltre, fortemente sconsigliabile mostrare, in video o foto, ambienti didattici durante le lezioni se non si rispettano standard minimi di ordine, etica e comportamento professionale. Inquadrare aule disorganizzate con sedie fuori posto, borse e giacche poggiate sui piani di lavoro, telefoni cellulari in uso o visibilmente presenti e truccatori che si muovono in modo disordinato attorno al soggetto che stanno truccando, non solo compromette la percezione di rigore e serietà dell’accademia, ma trasmette un’immagine caotica e amatoriale dell’intera attività formativa. Un contesto del genere non restituisce l’idea di un laboratorio didattico strutturato, piuttosto quella di un ambiente privo di regole e controllo, in netto contrasto con le dinamiche operative richieste in ambito professionale. Mostrare il backstage dell'apprendimento può essere molto efficace, ma solo se è coerente con la cultura dell’organizzazione, con la cura del dettaglio e con il rispetto dei codici professionali che si intende insegnare.
Cosa Evitare nella Comunicazione Social di un'Accademia di Formazione
In questa mia elaborazione do per assodata una formazione di tipo professionale, strutturata su moduli specifici dedicati al make-up per l’ambito audiovisivo, dove le competenze richieste vanno ben oltre l’estetica e coinvolgono linguaggi tecnici, contesti produttivi e capacità di adattamento ai codici visivi del cinema, del teatro, della televisione e dei nuovi media.
Quando si gestisce la comunicazione sui social di un’accademia di formazione, è fondamentale curare attentamente il messaggio che si vuole trasmettere, evitando alcune pratiche che potrebbero compromettere l’immagine e la serietà dell’istituto. Ecco alcuni aspetti da considerare e da evitare assolutamente.
1. Evitare di creare contest superficiali
I contest sui social possono sembrare una buona idea per aumentare l’interazione, ma se non sono ben progettati, rischiano di ridurre la percezione di professionalità. In particolare, evitare concorsi che non siano in linea con i valori dell’accademia o che non contribuiscono in modo significativo alla formazione e all’informazione del pubblico. Questi contest rischiano di sembrare più una strategia di marketing a corto termine che un'opportunità educativa genuina.
2. Evitare l’estetica senz’anima: coerenza tecnica e identità visiva
L’adozione acritica di format e linguaggi tipici dei social media può sembrare una strategia efficace, ma per un’accademia rischia di risultare controproducente.
Le foto e i contenuti che imitano le ultime tendenze rischiano di sembrare superficiali e poco distintivi. È meglio puntare su contenuti ad alto impatto tecnico e di stile che rispecchiano l'identità dell'accademia, mostrando professionalità, competenza e passione, piuttosto che cercare di compiacere il pubblico con immagini che non sono di qualità o che non rispecchiano la missione dell’istituto.
Un esempio ricorrente è la pubblicazione di immagini di caratterizzazione teatrale che ignorano del tutto i principi tecnici fondamentali. Si vedono volti decorati con strass senza alcun nesso funzionale o espressivo, o lavori privi di chiaroscuri leggibili, che annullano la tridimensionalità e il senso significante del trucco stesso. In questi casi, non si tratta solo di una scelta estetica discutibile, ma della rimozione di una componente formativa essenziale: il trucco teatrale non è un pretesto decorativo, è un linguaggio codificato che serve la scena, il personaggio, la luce, la distanza. Stravolgerlo senza una logica equivale a svuotarlo di senso.
In questo senso, anche quando si scelgono riferimenti stilistici ispirati ad altre epoche, è fondamentale rispettarne il linguaggio visivo: se una foto d’epoca veniva costruita con una certa posa, un tipo specifico di luce o una composizione precisa, allora è proprio quel cliché che va riproposto. Diversamente, si perde l’integrità stilistica e il senso stesso del richiamo visivo, svuotando l’immagine di qualsiasi valore formativo o comunicativo autentico.
Allo stesso modo, qualora un’accademia intenda proporre corsi più orientati all’ambito moda, è preferibile evitare l’adesione passiva ai trend effimeri. In alternativa, si possono esplorare riferimenti visivi legati al linguaggio moda più ricercato e concettuale: estetiche futuristiche, costruzioni d’immagine stratificate, sperimentazioni visive che nascono da una reale conoscenza del settore. Solo attraverso una progettazione consapevole e significativa si può dare forma a contenuti coerenti con un percorso formativo avanzato.
3. Evitare di ridicolizzare con effetti di richiamo beceri o finti
La coerenza tra ciò che si insegna e ciò che si comunica all’esterno è una responsabilità formativa. E quando si lavora in ambito creativo, il linguaggio visivo diventa parte integrante di questa responsabilità. Inseguire ciecamente i trend dei social, con immagini patinate, pose forzate e contenuti pensati solo per assecondare l’algoritmo, si rischia di generare l’effetto opposto: invece di valorizzare l’identità dell’accademia, ne svuota la percezione, facendola apparire come un prodotto qualsiasi. Chi sceglie di investire tempo e risorse in un percorso formativo cerca serietà, competenza e autenticità. Quando questi valori vengono sacrificati in nome della visibilità a tutti i costi, è la reputazione stessa dell’istituto a risentirne. L’uso di tecniche visive eccessivamente artefatte o che finiscono per ridicolizzare la professionalità dell’accademia è una scelta controproducente. La comunicazione deve restare coerente con il valore formativo proposto, evitando espedienti che possono risultare banali o poco credibili.
Anche il linguaggio ha un peso. Le etichette con cui vengono presentati i lavori, ad esempio, non sono dettagli trascurabili. Quando si incontrano descrizioni come “Oscar make-up”, “celebrity make-up”, “red carpet make-up” o "Sanremo Make-up" emerge chiaramente una strategia di richiamo che poco ha a che fare con un approccio tecnico o stilistico fondato. Non esistono parametri oggettivi per definire cosa sia un “trucco da Oscar”, e l’uso di queste espressioni tende a banalizzare il contenuto, trasformandolo in una trovata pubblicitaria più che in una proposta formativa seria. Il paradosso è evidente: si insegna agli studenti a costruire credibilità e competenza, ma si comunica con etichette che ne svuotano il significato. Questo scollamento tra forma e sostanza rischia di minare l’autorevolezza dell’offerta, soprattutto agli occhi di chi è in cerca di percorsi solidi, strutturati e realmente professionali.
4. Evitare l'incoerenza tra lavoro didattico e contenuto promozionale
Prima di affidarsi agli strumenti e ai linguaggi dei social, un’accademia dovrebbe porsi una domanda semplice quanto decisiva: cosa vogliamo comunicare davvero?
La risposta a questa domanda non può essere improvvisata.
Serve una visione chiara, una linea editoriale coerente, un'identità comunicativa riconoscibile che non si limiti a rincorrere l'estetica del momento.
Da qui, tre strade comunicative possibili:
A. La comunicazione aspirazionale.
Se si decide di costruire una comunicazione ad alto impatto visivo, allora è necessario fare le cose con criterio: selezionare modelle professioniste, coinvolgere truccatori esperti capaci di raccontare qualcosa con un make-up, scegliere fotografi in grado di catturare e valorizzare le scelte stilistiche.
Non si tratta di ostentazione, ma di coerenza visiva.
È legittimo e spesso efficace costruire una vetrina d'eccellenza, ma con la consapevolezza che quella è una scelta stilistica, non formativa.
Non rappresenta la didattica, ma l’estetica della comunicazione.
E non c’è nulla di sbagliato in questo, purché lo si sappia distinguere.
Anzi, separare con lucidità ciò che si comunica da ciò che si insegna è un atto di onestà intellettuale: consente di mantenere intatti i programmi didattici, evitando che la comunicazione si traduca in un adattamento della formazione a ciò che “funziona sui social”.
È un punto cruciale.
Mostrare bellezza non significa necessariamente insegnare solo un estetica, così come l’impatto visivo di una foto perfetta non è mai la misura della qualità di un percorso formativo.
Puntare su un’immagine forte, curata, anche “patinata”, può avere senso se, e solo se, è una scelta intenzionale, ponderata, supportata da professionisti, e non un tentativo improvvisato di accattivarsi like.
Il problema nasce quando queste scelte si confondono con la didattica, quando si inizia a strutturare i corsi pensando a ciò che è più “instagrammabile”, sacrificando la complessità tecnica per l’immediatezza visiva.
Ecco perché comprendere cosa si vuole offrire come identità comunicativa è un passaggio fondamentale per qualsiasi accademia seria.
Una comunicazione visiva d’impatto può essere una porta d’ingresso, uno specchio che attrae l’attenzione, ma non deve mai diventare il sostituto della sostanza.
B. La comunicazione formativa.
In alternativa, un’accademia può scegliere di orientare la propria comunicazione in modo più diretto, aderente al processo formativo reale, scegliendo di documentare e valorizzare il lavoro quotidiano degli allievi.
In questo caso, la coerenza non si gioca sulla perfezione del risultato, ma sulla trasparenza del percorso.
Chi si affaccia a un’esperienza formativa cerca concretezza, non una rappresentazione idealizzata.
E se questo significa mostrare anche lavori imperfetti, lo si fa con la consapevolezza che proprio lì si manifesta la sostanza più rilevante: un apprendimento che non si misura solo in estetica, ma in evoluzione, ricerca, costruzione di senso.
Le accademie che scelgono questa linea comunicativa dovrebbero essere consapevoli della responsabilità che comporta: selezionare immagini che rispecchino in pieno l’insegnamento ricevuto e i risultati tecnici raggiunti, piuttosto che privilegiare la sola resa estetica o l’impatto scenografico.
Non tutti gli studenti, infatti, affrontano il percorso con lo stesso livello di impegno, tempo o consapevolezza, ed è normale che i risultati siano eterogenei.
Proprio per questo, mostrare lavori coerenti con quanto è stato realmente insegnato ha un valore didattico e culturale forse persino maggiore rispetto alla bellezza a tutti i costi, che a mio avviso è più vicina alla logica di una rivista o di un'agenzia di moda.
Se la formazione si assume il compito di costruire senso e non solo immagine, allora anche la selezione dei contenuti dovrebbe rispecchiarne l’intento. La comunicazione, in questo caso, diventa un’estensione del metodo, uno strumento per restituire realtà invece che aspirazioni vuote.
C. La comunicazione immersiva e narrativa.
Esiste una terza possibilità, forse più complessa ma estremamente efficace: trasformare la comunicazione visiva in una narrazione immersiva, costruita con rigore tecnico e consapevolezza scenica.
In questo caso, i contenuti social non si limitano né a idealizzare né a documentare, ma mettono in scena il processo formativo attraverso un linguaggio professionale e altamente coinvolgente.
Immaginiamo un set costruito ad hoc: costumi teatrali, parrucche, posticci, fondali coerenti, oggetti di scena. Il trucco non è solo esibito come risultato finale, ma raccontato mentre prende forma: si mostrano le mani che lavorano, l’applicazione di una calotta, il disegno meticoloso di barba e baffi, la stesura di una base SFX. Chi guarda quei contenuti che siano reel, storie, post, non riceve una posa o un prima/dopo, ma viene letteralmente risucchiato in un backstage, guidato visivamente dentro l’artigianato della trasformazione.
Questo tipo di comunicazione non banalizza la formazione, ma la esalta, rendendola tangibile e comprensibile anche per chi non conosce il mestiere. Ogni contenuto, ogni video, ogni scatto, diventa una micro-storia coerente con un modulo del corso: SFX, beauty audiovisivo, trucco editoriale, trucco d'epoca, trucco artistico, ecc.
La chiave è la progettualità: non improvvisare, ma scrivere, produrre e diffondere contenuti che abbiano un valore autonomo, in grado di parlare tanto al futuro allievo quanto al professionista già formato.
In questo modo, la comunicazione non è un’imitazione dello spettacolo, ma diventa spettacolo educativo, capace di sedurre senza mentire, e di far intuire, anche solo in pochi secondi, il valore e la profondità di ciò che si impara realmente in aula.
In questo terzo approccio, la comunicazione si fonda in una narrazione visuale immersiva, tecnicamente curata, scenograficamente ricostruita ma che trasmette al pubblico il valore concreto e artigianale della formazione offerta. Non una finzione estetica, né una semplice documentazione, ma un racconto professionale e coinvolgente, che faccia “entrare” chi guarda nel laboratorio vivo dell’accademia.
La comunicazione sui social di un'accademia di formazione deve puntare su autenticità, serietà e valore. Evitare queste trappole comuni aiuterà a costruire un'immagine forte e rispettata, in grado di attrarre studenti motivati e interessati a crescere professionalmente.


