GLOSSARIO DISFUNZIONALE "Leggero" vs "Pesante"
- carlabelloni

- 17 apr
- Tempo di lettura: 4 min

Nel linguaggio comune, quando si parla di make-up, si sente spesso dire che un trucco è “pesante” o “leggero”.
È un’abitudine diffusa, che possiamo considerare tollerabile, anche se scorretta, nel contesto dell’influencer marketing, dove la funzione comunicativa punta più a suggestionare che a offrire un contenuto che abbia un senso, oltre l’estetica e il clic.
Ma se a usare questi termini è un truccatore professionista, o peggio ancora un docente, siamo di fronte a un problema ben più serio: la mancanza di un linguaggio tecnico adeguato, e con essa, la mancanza di consapevolezza sul proprio ruolo comunicativo e formativo.
Un professionista non si sta rivolgendo alla vicina di casa mentre commenta un trucco sul pianerottolo, non sta partecipando a una chiacchiera da cortile, ma sta esercitando un mestiere che ha una sua dignità linguistica, teorica e progettuale.
Usare espressioni vaghe come “pesante” o “leggero” in contesti formativi, divulgativi o professionali significa rinunciare all’analisi, sacrificare la precisione, alimentare superficialità.
Significa soprattutto sottovalutare la portata educativa del proprio linguaggio, dimenticando che ogni parola contribuisce a costruire o a disfare una cultura del trucco consapevole, articolata e critica.
Nel make-up, “leggero” e “pesante” non significano nulla.
Sono parole generiche, soggettive, non quantificabili, senza un reale corrispettivo tecnico.
Non indicano la quantità di prodotto, non definiscono la modalità di applicazione, non spiegano l’effetto visivo né la resa finale.
E soprattutto, non tengono conto di alcuna variabile professionale concreta: tipo di luce, supporto visivo, distanza macchina, narrativa, caratterizzazione, linguaggio iconografico, solo per citarne alcuni.
Cosa non definiscono “leggero” e “pesante”
Il problema principale di questi due termini è che non descrivono nulla di oggettivo o utile alla lettura professionale di un trucco.
“Leggero” può indicare tutto e il contrario di tutto: una quantità minima di prodotto, una base sfumata, un colore chiaro, un trucco nude, oppure semplicemente un effetto poco visibile.
Ma quale di questi aspetti sta comunicando, esattamente?
Nessuno, se non lo si esplicita.
Lo stesso vale per “pesante”: a seconda del contesto, può voler dire che il trucco è coprente, o vistoso, o costruito, o stratificato, o scenico… oppure semplicemente che non piace.
In termini tecnici, queste parole non forniscono nessun parametro utile:
non indicano la densità di un prodotto (liquido, compatto ecc.)
non descrivono la consistenza (Fluido, cremoso, ecc.)
non parlano della pienezza o trasparenza del colore
non descrivono la struttura del make-up (se è costruito per livelli, per volumi, per contrasti)
non fanno riferimento alla resa ottica in relazione alla luce e al contesto visivo.
In altre parole, non danno alcuna informazione spendibile nella pratica professionale.
Eppure sono ancora usate da chi dovrebbe padroneggiare un vocabolario tecnico preciso.
Un professionista non può permetterselo
Nel lavoro del truccatore, la scelta dei prodotti e delle tecniche non è mai neutra.
La densità e la consistenza dei cosmetici, ad esempio, vengono calibrate in funzione della resa finale, della coerenza narrativa e del contesto di ripresa.
Una base ad alta coprenza può risultare perfettamente bilanciata in una scena girata sotto luci molto forti o in una fotografia di taglio cinematografico.
Viceversa, un trucco a bassa coprenza può risultare del tutto inadeguato se l’intento è quello di costruire un volto narrativo, un’icona, una maschera espressiva. Perché la coprenza cosmetica non è mai una questione di gusto, di seguire uno stile o un trend: dipende sempre dalla luce in cui quel make-up verrà esposto.
E anche quando l’obiettivo del make-up non è performativo o destinato a un set professionale, ma riguarda un evento privato, una cerimonia, una festa, un incontro, il vocabolario tecnico non perde il suo valore.
Un docente che giustifica l’uso di termini come “leggero” o “pesante” in questi casi sta confondendo la semplicità con la superficialità.
Credo che alla base ci sia una scarsa conoscenza strutturata del cosmetico. Oggi, nell’ambito professionale, esistono compatti cerosi che offrono un finish iper-realistico, perfettamente integrato con l’incarnato, così come fondotinta fluidi che, al contrario, possono generare un effetto visivo gessoso e innaturale. Non è quindi più accettabile giustificare l’uso dell’aggettivo “leggero” sulla base della sola consistenza fluida: la resa visiva non è determinata dalla forma del prodotto, ma dalla sua composizione, dalla modalità d’applicazione e, soprattutto, dal contesto tecnico in cui viene utilizzato.
Ogni volto ha una funzione comunicativa, anche in un luogo comune.
Ogni trucco è una narrazione, anche lontano dai riflettori.
E ogni descrizione deve essere coerente con questo livello di consapevolezza.
Chi descrive tutto questo con un “è troppo pesante” sta evitando di analizzare.
Chi lo insegna così, non sta insegnando nulla.
Per un docente di make-up, utilizzare un linguaggio impreciso non è solo superficialità: è mancanza di padronanza critica, conoscenza e di capacità divulgativa.
Abbandonare il vago per accedere al reale
Continuare a usare parole come leggero e pesante significa restare fermi a una narrazione semplificata, che giudica senza analizzare, che si affida all’impressione invece di costruire comprensione.
Chi fa del make-up una professione e ancor di più chi ha la responsabilità di insegnarlo, non può permettersi scorciatoie linguistiche.
Non perché “suonino male”, ma perché non servono a niente.
Non descrivono, non spiegano, non educano.
Abbandonare queste espressioni non è una questione stilistica: è un atto di responsabilità.
Significa scegliere parole che descrivono una tecnica, una scelta, un effetto.
Significa formare sguardi capaci di leggere il trucco in relazione al contesto, alla funzione, alla visione creativa.
Solo così il linguaggio torna a essere ciò che dovrebbe sempre essere: uno strumento per vedere meglio, non per nascondere dietro formule vuote ciò che non si sa dire.
"Ci sono termini che, nel make-up professionale, smettono di essere errori: diventano radiografie dell'incompetenza."


