GLOSSARIO DISFUNZIONALE "Arte e Tela"
- carlabelloni

- 25 mag 2024
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 4 giu

Ci sono frasi che ricorrono ossessivamente nei discorsi sul make-up del tipo:
“Il viso è una tela.”
“Il make-up è arte.”
Frasi come queste si trovano ovunque: nelle bio dei social, nei claim pubblicitari, nelle schede formative. Sembrano poetiche, persino legittimanti. Ma a ben vedere, soprattutto nel contesto professionale, rivelano più un bisogno di validazione che una reale consapevolezza fra ciò che è artigianalità e quello che è arte.
Per schede formative e claim pubblicitari, intendo quei brevi discorsi promozionali o presentazioni sintetiche usati per proporre o vendere un corso di formazione, un workshop, una masterclass.
Nel contesto del make-up (ma anche di altri settori creativi), capita spesso che chi organizza o pubblicizza una proposta formativa usi slogan come:
“Non insegniamo solo make-up, ma arte.”
“Il viso è la tua tela: impara a creare capolavori.”
“Diventa un artista del make-up, non un semplice esecutore.”
Queste frasi servono a rendere più affascinante l’offerta, ma spesso sono poco fondate e scivolano in un uso retorico e commerciale del termine arte e tela, appiattendone il significato.
Una scheda formativa o claim pubblicitario è una mini-narrazione pubblicitaria che presenta un corso come qualcosa di creativo, nobile, trasformativo, anche quando non lo è davvero.
Nel tempo, queste espressioni sono diventate scorciatoie: chi le usa spesso non intende davvero riflettere sul significato dell’arte, né sulla specificità del volto umano.
Sono metafore pigre, abusate, che semplificano ciò che è complesso. E nel farlo, svuotano di senso sia la parola "arte", sia la relazione reale che un truccatore ha con il volto della persona che ha di fronte.
È proprio da qui che nasce questo articolo.
Perché oggi più che mai serve rimettere ordine tra poetica e propaganda.
Quando il make-up non è arte
Il make-up, di per sé, non è arte.
È uno strumento, un mezzo, una pratica.
Può diventarlo, ma non lo è per definizione.
Solo alcune di queste dimensioni possono sconfinare nel campo artistico.
Un trucco può essere:
tecnico,
decorativo,
funzionale,
espressivo,
percettivo,
iconico,
valorizzante,
simbolico…
Perché il make-up sia davvero arte, deve esserci:
un’intenzionalità espressiva (non solo funzionale),
una visione autonoma (non derivativa),
una rottura o un superamento del codice estetico dominante,
una narrazione interna che non si esaurisce nella prestazione.
Un esempio concreto:
Un trucco da sfilata Haute Couture che rielabora concetti antropologici o naturali può essere arte.
Un make-up beauty per una campagna pubblicitaria, per quanto impeccabile, non lo è: è stile, è mestiere, è immagine costruita.
Un trucco teatrale può essere arte se partecipa alla costruzione di un linguaggio scenico originale.
Un facepainting o un trucco fantasy da Instagram con effetti wow non lo è automaticamente: può essere virtuosismo, intrattenimento, ottima artigianalità che non sempre contiene un pensiero, una coerenza, una complessità di linguaggi.
La differenza non sta nel livello tecnico, ma nella funzione e nella progettazione.
Quando il make-up può essere considerato artistico
Non tutto ciò che è scenografico è arte.
Il make-up diventa arte quando è progettato come atto creativo autonomo, con un proprio linguaggio, un proprio contenuto e una propria ricerca.
Ecco in quali casi questo accade:
● Make-up performativi
Nel teatro sperimentale, nella body art, nel drag, il trucco diventa parte dell’opera. È corpo che denuncia, racconta, esagera, sovverte. L’identità viene rimodellata. Il volto diventa scena. Il make-up qui è gesto artistico a tutti gli effetti.
● Make-up concettuali
Quando il trucco veicola una visione simbolica o critica:
narrazioni sull’identità e sul trauma,
decostruzione dei codici estetici,
provocazioni visive sui generi o sulla malattia, allora siamo nell’ambito dell’arte concettuale. Il trucco non è decorazione, ma riflessione.
● Make-up fotografici o video artistici
Quando il trucco è pensato per un progetto fotografico o audiovisivo, e contribuisce alla narrazione visiva in modo attivo, allora può essere arte. In questi contesti, il make-up non serve ad abbellire ma a evocare, disturbare, costruire senso.
● Make-up cinematografici con progettualità autonoma
Non tutti i make-up per il cinema sono arte. Ma quando il trucco:
partecipa alla costruzione iconica del personaggio,
propone soluzioni visive inedite o simboliche,
utilizza tecniche e materiali in modo narrativo (non realistico),
è frutto di una ricerca estetica coerente con la visione del regista, allora diventa linguaggio artistico integrato.
Alcuni esempi:
Il trucco deformante e poetico de Il labirinto del fauno;
le trasformazioni disturbanti nel cigno nero;
l’estetica grottesca e pop di Beetlejuice;
le maschere post-apocalittiche in Mad Max;
o ancora le scelte minimali e simboliche in Joker (Joker: Folie à Deux)
In questi casi, il truccatore non è un tecnico: è co-autore della visione filmica.
● Make-up sperimentali e installativi
Alcuni make-up sconfinano nell’arte visiva, diventando parte di installazioni o mostre. In questi casi si usano materiali extra-cosmetici, si ridefinisce il volto come scultura temporanea, si lavora sul tempo e sulla materia in modo non convenzionale.
Perché il viso non è una tela
Paragonare il viso a una tela è un gesto poetico, ma profondamente sbagliato. E non solo per una questione materiale, ma per ciò che quel paragone rimuove.
● Il viso è vivo
Una tela è passiva, il volto è attivo. Si muove, comunica, cambia. Ha memoria, espressioni, desideri, vulnerabilità. Truccare un volto non è “dipingere sopra qualcosa”, è entrare in relazione con qualcuno.
● Il viso è tridimensionale
La tela è piatta. Il volto ha curve, volumi, sporgenze, cavità. Ogni zona risponde in modo diverso alla luce, al cosmetico, al colore. Il trucco non si applica, si adatta, si modella, si negozia con la struttura.
● Il viso ha una storia
Un volto non è mai neutro. Porta segni, traumi, esperienze. È un luogo biografico, non un oggetto di superficie. E ogni intervento su di esso ha una ricaduta simbolica, affettiva, identitaria.
● Il viso è un soggetto, non un oggetto
Dire “uso il volto come tela” implica un rapporto unilaterale: io creo, tu mi servi da supporto. È un’idea che cancella la reciprocità. Nel trucco, soprattutto professionale, la relazione è centrale: si trucca con una persona, non su qualcosa.
A tutti quei truccatori specializzati in trucco estetizzante che continuano a dire che truccare è come dipingere una tela: vorrei davvero vedervi fare un disegno iperrealistico su tela, con la stessa precisione tecnica che dite di applicare sul viso. Solo paragonarlo è presuntuoso. Solo pensarlo, ancora di più.
Il bisogno di dirsi artisti
Molti truccatori si definiscono artisti non per convinzione estetica, ma per bisogno di appartenenza. L’arte seduce: nobilita il mestiere, protegge dall’invisibilità, legittima una passione.
Ma spesso questa auto-attribuzione è più identitaria che reale.
Essere parte del mondo artistico non è questione di estetica, ma di contenuti, ricerca, linguaggio.
Questo comporta anche una responsabilità: sapere quando si è artisti e quando si è artigiani.
L’artigianato non è un ripiego.
È rigore, cura, consapevolezza.
Il problema nasce quando si confonde la tecnica con la visione, l’impatto con il pensiero, la bravura con la creazione.
Il viso non è una tela.
Il make-up non è sempre arte.
E proprio per questo, vale la pena raccontarli con più verità e più precisione.
La differenza tra artigianalità e artistico è sottile ma fondamentale.
Spesso i due termini vengono sovrapposti, ma appartengono a due ordini diversi di pensiero e funzione.
Ecco come distinguerli con chiarezza:
Artigianalità
● È legata al saper fare. Implica abilità, cura, tecnica, padronanza dei materiali e delle forme.
● È ripetibile e perfezionabile. L’artigiano lavora su strutture codificate (anche molto complesse), che può affinare nel tempo, fino all’eccellenza.
● Ha una finalità funzionale o estetica. Che si tratti di un mobile, di un abito, di un trucco da sfilata, l’artigianalità risponde a un’esigenza concreta.
● Si muove entro canoni riconosciuti. La bravura si misura rispetto a standard condivisi: precisione, armonia, equilibrio, esecuzione.
Artistico
● È legato al pensiero critico e simbolico. Un’opera artistica comunica oltre ciò che mostra. Porta un’idea, una rottura, una visione.
● È spesso non ripetibile. Non segue formule fisse: può nascere da un gesto unico, da un’urgenza personale o da una ricerca profonda.
● Non ha necessariamente una funzione. L’arte può essere inutile, scomoda, non piacevole — ma resta necessaria perché dice qualcosa sul mondo.
● Rompe o reinterpreta i canoni. L’artista non si limita a eseguire: interroga la forma, il linguaggio, il tempo in cui vive.
In sintesi:
Un trucco perfetto, tecnicamente impeccabile, è un prodotto artigianale.
Un trucco che usa il linguaggio del make-up per costruire un senso nuovo, un’idea disturbante, un’immagine che rompe le regole e ne crea di proprie… quello può essere artistico.
Non è una questione di bravura, ma di intenzione, contesto e linguaggio.
E i due mondi, artigianato e arte, possono incontrarsi, ma non sono sovrapponibili.
Postilla necessaria (per chi si sente punto)
Se leggendo questo articolo ti sei sentito colpito nel tuo ego professionale, fermati un attimo.
Non è un attacco personale, ma una riflessione culturale.
E se ti ha infastidito, forse è proprio perché non hai colto il riferimento culturale profondo che distingue l’artigianato dall’arte.
Non tutto ciò che è fatto con le mani e con cura è automaticamente arte.
Ogni opera artigianale può avere una dignità enorme, ma solo alcune, per visione, linguaggio, intenzione, riescono a sconfinare nell’artistico.
I truccatori non fanno eccezione.
Che lo si accetti o meno, non basta sentirsi artisti per esserlo.
E non c’è nulla di svilente nell’essere invece un eccellente artigiano.
Anzi, è da lì che si comincia a fare davvero la differenza.
E sì, anche chi ha una tecnica pittorica eccezionale, un tratto impeccabile, una capacità fuori dal comune di gestire luce, colore e forma… non è automaticamente un artista.
È un grande interprete, magari un maestro di stile, ma l’arte, quella vera, si misura su un altro piano: quello della visione.
Della rottura.
Della necessità espressiva.
E non c'è bisogno che ci si arrivi per forza.
L’onestà, in questo mestiere, è già un atto creativo.


