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DIETRO IL CLAIM. Smile line proof make-up

  • Immagine del redattore: carlabelloni
    carlabelloni
  • 3 giu
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 10 lug

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Negli ultimi tempi sta prendendo piede un nuovo claim: smile line proof make-up, ovvero “trucco a prova di sorriso”.

Suona bene, scivola via come una promessa assoluta di tenuta, di compattezza, di perfezione.

Ma, come accade spesso, più l’etichetta suona seducente, meno ha a che fare con la realtà professionale.

Il problema non è solo semantico è pratico, formativo, tecnico.

Nel linguaggio cosmetico, smile line proof non ha alcun significato codificato.

È un claim: una trovata pubblicitaria che promette resistenza ai movimenti del viso, in particolare nella zona naso-labiale.

Ciò che colpisce non è solo l’etichetta in sé: è il modo in cui viene spiegata, ripetuta e applicata meccanicamente, spesso con procedure trite e ritrite che girano da anni sui social, sempre uguali a sé stesse, senza alcun approfondimento.

Chi esegue o insegna make-up seriamente, sa bene che la riuscita di un trucco non dipende da un claim, ma da un insieme di fattori che vanno letti, valutati e adattati:

  • lo stato effettivo della pelle,

  • Il cosmetico utilizzato,

  • le condizioni di luce,

  • l’obiettivo dell’intervento cosmetico,

  • il tipo di esposizione prevista,

  • il contesto in cui quel make-up verrà visto, fotografato, vissuto.

Non esiste un prodotto “a prova di sorriso” se non si è prima compreso su quale pelle andrà applicato, per quanto tempo, sotto quale luce, in quale ambiente (privato, performativo, fotografico, ecc.).

Queste sono le basi del lavoro e sono proprio le basi che il claim cancella.


Il ruolo del docente: insegnare come leggere, non cosa replicare

Un docente serio, nel momento in cui affronta un tema come la durata o la resa estetica di un make-up in movimento, dovrebbe offrire strumenti di lettura, non formulette prêt-à-porter.

Dovrebbe insegnare che la risposta corretta cambia a seconda del contesto e della pelle.

Oggi esistono cosmetici in grado di limitare la disgregazione del trucco, ma la vera domanda da porsi è:

Che tipo di pelle ho davanti? In quali condizioni si troverà il make-up? Cosa voglio ottenere davvero?

Il cosmetico adatto non si sceglie in base al claim, ma in base a:

  • tipo di esposizione (luce artificiale, luce naturale, prolungata o dinamica);

  • condizioni epidermiche (secchezza, elasticità, spessore, reattività);

  • risultato desiderato (effetto levigante, morbidezza, camuffamento, naturalezza).


Semplificare tutto con smile-proof è un danno.

Non solo perché svilisce la tecnica, ma perché produce errori grossolani, anche nei consigli che circolano con leggerezza.


L’equivoco tecnico: il baking contro la ruga naso-labiale

Uno dei consigli più diffusi legati al concetto di “smile-proof” riguarda la zona naso-labiale, notoriamente mobile e segnata.

Il suggerimento?

Fare baking per fissare il correttore. Nulla di più sbagliato!

Come spiegato anche nell’articolo dedicato al Glossario Disfunzionale, il baking, cioè l’uso abbondante di cipria su una zona critica, non solo non risolve il problema, ma lo esaspera.

L’effetto finale è una pelle secca, frammentata, che evidenzia proprio la ruga che si voleva minimizzare oppure se applicate in contesto tecnico, diventano un rischio: alterano la resa, riflettono in modo anomalo, distruggono il lavoro delle luci e delle sfumature.


Allora torniamo alle domande corrette:

  • Voglio camuffare una ruga naso-labiale marcata? Serve una tecnica di chiaro-scuro, non un sovraccarico di cipria.

  • La zona tende a separare il prodotto e a screpolarsi? Bisogna intervenire prima del make-up, con un cosmetico pre-trucco che lavori per creare un film protettivo, rimpolpante, temporaneamente riequilibrante.


Questo tipo di approccio richiede osservazione, metodo, consapevolezza.

Tre parole che i claim non conoscono.

Smile-proof non è un parametro è uno slogan.

Quando uno slogan entra in aula o su un set professionale come se fosse una regola, è lì che bisogna fermarsi e rimettere ordine.

Il make-up non è fatto per resistere ai sorrisi.

È fatto per dialogare con il volto che sorride e questo, nessuna etichetta virale lo insegna.

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