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Truccatori protagonisti: l’urgenza di apparire prima di essere

  • Immagine del redattore: carlabelloni
    carlabelloni
  • 7 mag 2023
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 20 ago

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In un’epoca in cui ogni professione sembra dover passare dal filtro dell’intrattenimento, anche il mestiere del truccatore rischia di perdere il proprio baricentro.

Sempre più spesso, nei backstage, si assiste a un fenomeno curioso: non è il trucco a parlare, ma chi lo realizza. Siparietti, mini-show, storie e reel trasformano il truccatore da figura tecnica e creativa ad attore, con il bisogno continuo di “esserci”, di dimostrare una presenza scenica che spesso prescinde dalla competenza.

Il fenomeno non è nato per caso: è figlio diretto della cultura di TikTok, dei contenuti a effetto, dell’urgenza di diventare virali. In questo scenario, il make-up diventa pretesto e non più strumento. Il truccatore si trasforma in intrattenitore, in protagonista di una narrazione che ha ben poco a che fare con la professionalità e molto con la performance.

Ma chi ha detto che ogni mestiere deve diventare spettacolo?

Non si tratta di una critica al desiderio di comunicare il proprio lavoro anzi, raccontare il backstage può avere un valore didattico e ispirazionale. Il punto è come lo si fa e perché. Quando il focus si sposta dalla qualità dell’intervento alla quantità di visibilità ottenuta, si genera uno scollamento profondo tra ciò che si è e ciò che si vuole apparire. In questi casi, il trucco non è più un mezzo per servire un progetto, ma un pretesto per mettersi in mostra.

Il backstage, per chi lo conosce davvero, è un luogo di tensione creativa, non di esibizione personale. È dove si costruisce un’immagine, si risolvono problemi, si cambiano look all’ultimo secondo. Richiede silenzio, rapidità, lucidità. Non è un palcoscenico, ma un laboratorio. E come tutti i laboratori, ha le sue regole: si parla poco, si ascolta molto, si lavora tanto. Non si balla, non si grida, non si fa show.

Dietro le quinte, chi lavora davvero sa che il tempo è poco, la concentrazione è tutto, e che il rispetto per gli altri reparti, luci, costumi, regia, è fondamentale. Non c’è spazio per le esibizioni personali. Eppure, alcuni truccatori sembrano incapaci di accettare quel ruolo “in ombra”.

Ma forse è proprio questo il nodo: vivere bene il backstage richiede una maturità professionale e una sicurezza interiore che non tutti hanno voglia di coltivare. Più facile allora improvvisarsi intrattenitori, girare contenuti ammiccanti, forzare la mano per ottenere applausi digitali.

Più facile, ma anche più vuoto.

C’è una differenza sottile ma netta tra mostrare e dimostrare. Ed è quella differenza che fa di un truccatore un professionista o solo un personaggio. C’è una differenza sostanziale tra “stare dietro le quinte” ed “esserci per forza”. Una differenza che, nel mondo del make-up professionale, si sta facendo sempre più netta e, in certi casi, dolorosa. Perché da qualche tempo a questa parte, il backstage non è più solo il luogo dove si lavora in sinergia e in silenzio, ma anche il set improvvisato di chi ha bisogno di mettersi in mostra. Non per il lavoro svolto, non per la tecnica, non per l’attenzione al dettaglio, ma per se stesso.

Il truccatore che non si accontenta di stare nel backstage è una figura in crescita. Non perché ambisca a ruoli nuovi, cosa più che legittima, ma perché fatica ad accettare il ruolo che ha. E allora ecco spuntare siparietti estemporanei, balletti improvvisati, sketch senza nesso con il lavoro, risate forzate, urla fuori contesto. Scene che poco hanno a che fare con la concentrazione, con la preparazione, con il rispetto dei tempi e degli spazi comuni.

Chi si affaccia a questo mondo con la convinzione che essere truccatore significhi anche diventare influencer, performer, star del proprio profilo, rischia di perdersi il senso profondo del mestiere. Perché qui si è al servizio di un progetto, non al centro di esso. Il volto che trucciamo non è una superficie per metterci la firma in calce, ma un frammento di una narrazione più grande. A volte invisibile, ma non per questo meno determinante.

Voler essere sempre protagonisti tradisce un’inquietudine: quella di chi non si sente abbastanza se non si espone. Ma la verità è che, nel nostro lavoro, spesso il valore si misura proprio nella capacità di non occupare la scena. Di esserci senza essere visti. Di lasciare che siano le mani, la tecnica, il risultato finale a parlare per noi.

Essere truccatori significa prima di tutto avere qualcosa da dire con il trucco, non con sé stessi.

Chi ha davvero qualcosa da dire, non ha bisogno di urlarlo.

I backstage, come i veri mestieri, sono pieni di gente che lavora in silenzio, che lascia che siano le proprie mani a parlare. Gli altri, quelli che occupano la scena a ogni costo, finiscono spesso per sottrarsi alla parte più importante del lavoro: la crescita, la tecnica, l’affidabilità.

Un professionista non ha bisogno di travestirsi da personaggio. Non ha urgenza di farsi notare per forza. Sa che la sua autorevolezza si costruisce nel tempo, non in un reel di 15 secondi. E sa che il rispetto per il lavoro altrui, per i tempi, per le persone, per la concentrazione generale viene prima di ogni bisogno personale di visibilità.

Forse è il momento di rimettere a fuoco le priorità. Di riscoprire il valore del backstage come spazio sacro del fare, non come palcoscenico improvvisato del sembrare. Perché se non si è disposti a stare dietro le quinte con competenza, presenza sobria e cura silenziosa, forse non si è davvero pronti per questo mestiere. Certamente, non lo si sta onorando.

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