Quando il metodo nasce da zero: l'illusione della replica senza radici
- carlabelloni

- 25 ott 2024
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 9 mag

In realtà aziendali di prestigio operanti nel settore della formazione, l’intero sistema organizzativo è stato ideato e costruito dalle fondamenta. A svilupparlo sono stati collaboratori con competenze trasversali, visione risolutiva e capacità progettuale, in grado di strutturare un impianto coerente con la missione e gli obiettivi aziendali. Sono queste menti a cui si deve la definizione e la realizzazione del metodo formativo o organizzativo adottato.
Tuttavia, può accadere che, con il tempo, per scelte strategiche aziendali non condivise, divergenze di vedute o incomprensioni, le persone che hanno dato origine a quel metodo decidano di interrompere la collaborazione.
Con la loro uscita, ciò che resta spesso è soltanto l’involucro di quel metodo: una struttura formalmente integra, ma priva della visione originaria che ne garantiva l'efficacia.
La struttura rimane, i documenti circolano, le procedure si ripetono. E l’azienda, invece di rimettere in discussione il modello per adattarlo alle nuove risorse e ai nuovi dipendenti, decide di lasciare tutto com’è. Un gesto che, all’apparenza, può sembrare un atto di continuità. Ma che, in realtà, spesso tradisce una verità più profonda: quel metodo non è stato realmente compreso. Non ne è stato percepito il valore autentico ed unico.
Seguire le tracce lasciate da altri, senza sapere da dove partono e perché si snodano in una certa direzione, è come camminare nel bosco con una mappa disegnata da qualcun altro, ma senza bussola. Si può procedere per un po’, ma prima o poi si perde l’orientamento.
I metodi creati da zero sono sempre il riflesso di un pensiero complesso, personalissimo, costruito con fatica, osservazione, ascolto. Sono il prolungamento dei processi mentali dei loro ideatori. Hanno equilibri precisi, punti ciechi compensati dalla supervisione costante, limiti conosciuti e gestiti da chi li ha generati. E se questi aspetti non vengono riconosciuti, il sistema, pur formalmente replicato, smette di funzionare.
Ecco perché chi si trova a “mettere in atto” quel metodo, senza averne vissuto la costruzione, spesso inciampa in contraddizioni. Ci si muove con sicurezza, ma su fondamenta che non si conoscono davvero. Si agisce con strumenti già pronti, ma senza sapere perché siano stati scelti proprio quelli, in quel modo, in quel momento. È una forma di recitazione che, a lungo andare, porta al fallimento.
Nella formazione o in contesti organizzativi come quelli di un backstage, questa dinamica si manifesta chiaramente: l’apparente semplicità di un metodo consolidato nasconde un percorso ricco di tentativi, correzioni, intuizioni, esperimenti. E solo chi ha partecipato alla sua genesi sa leggere i segnali deboli, adattare il sistema ai cambiamenti, ricalibrare ciò che non funziona.
Per questo è fondamentale che un’azienda, di fronte all’uscita dei suoi progettisti, non si limiti a “ereditare” i loro strumenti, ma si ponga domande. Qual era la visione dietro quel metodo? Quali erano le fragilità che richiedevano vigilanza? Come si possono formare nuove figure che siano all’altezza di comprenderlo, prima ancora di applicarlo?
Se questo passaggio di consapevolezza non avviene, chi seguirà quel metodo sarà destinato, pur con le migliori intenzioni, a ripetere schemi vuoti. E un metodo svuotato di significato non può produrre risultati: è come cercare di cucinare una semplice frittata con la ricetta scritta, ma senza aver mai acceso i fornelli.
Il vero valore di un metodo non è nella sua struttura esterna, ma nell’intelligenza viva che lo ha generato. E solo se questa intelligenza viene riconosciuta, compresa e in qualche modo trasferita, si può sperare di costruire qualcosa che duri. Altrimenti, ciò che resta è solo un’ombra: elegante, ordinata… ma destinata a svanire al primo cambio di luce. Perché sì, è vero: applicare un metodo è importante. Ma comprenderne le radici, i motivi, la struttura… quello è il primo passo per diventare davvero protagonisti attivi e non solo ottimi interpreti.
Specifico che il focus di questa riflessione non è sui contenuti didattici o sulle unità didattiche, ma su ciò che li sostiene.
Il vero limite sta nel credere che sia sufficiente mettere in atto una formazione all'interno di un’aula per replicare gli stessi risultati. Si ignora così un aspetto cruciale: la forza non risiede semplicemente nell’azienda o nel piano formativo, ma nelle persone che hanno ideato e reso operativo quel metodo. In questi casi, la mancanza di una reale valutazione e di un riconoscimento del valore delle competenze è determinante. È fondamentale saper distinguere chi possiede una visione progettuale autentica da chi si limita a credere che offrire dei contenuti didattici equivalga a generare gli stessi effetti. La forza non è l'azienda (involucro) né la formazione (contenuti) ma i progettisti! (metodo)


