Informare senza compromessi: la mia scelta nel caos della comunicazione social
- carlabelloni

- 25 mar
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 9 mag

Viviamo in un tempo in cui comunicare è facile, ma comunicare in modo autentico è diventato raro. I social media ci hanno dato la possibilità straordinaria di parlare a migliaia di persone con un semplice clic. Ma proprio questa facilità ha generato un paradosso: in mezzo a tante voci, è diventato difficile capire chi vuole davvero informare e chi, invece, sta solo confezionando messaggi su misura per compiacere un brand o ottenere visibilità.
Io questa scelta l’ho fatta con chiarezza: non sono in vendita.
Non voglio che la mia voce sia confusa con quella di chi, dietro la patina della divulgazione, nasconde un copione dettato da interessi commerciali.
La sottile linea tra contenuto e pubblicità
Negli ultimi anni, ho visto contenuti presentati come “informativi” diventare vere e proprie pubblicità mascherate.
Ho visto professionisti autorevoli iniziare a parlare solo di prodotti di un certo marchio, fino a perdere quella voce autentica che li aveva resi credibili.
E ho visto utenti disorientati, incapaci di distinguere un consiglio sincero da una strategia di marketing.
Per me, la credibilità è sacra. Non si compra, non si costruisce in laboratorio, e non si affitta per una collaborazione.
Essere liberi di dire la verità
Informare vuol dire assumersi una responsabilità.
Significa scegliere ogni giorno la via più laboriosa ma anche la più onesta: quella che non risponde a un brief aziendale, ma a un bisogno reale delle persone.
Significa raccontare le cose come stanno davvero, studiando e informandosi, anche se questo può significare scontentare qualcuno, o non piacere a tutti.
Io preferisco essere vera, piuttosto che piacere a chiunque.
Preferisco un pubblico piccolo ma consapevole, piuttosto che migliaia di visualizzazioni conquistate al prezzo della mia integrità.
La mia direzione
Ho scelto di usare i miei canali per condividere sapere, non per vendere castronerie.
Studio, approfondisco, seleziono fonti serie, e mi metto in discussione.
Quando parlo di un tema, lo faccio perché credo che possa portare valore a chi ascolta, non perché qualcuno mi ha chiesto di farlo.
Non ci sono loghi dietro le mie parole, non ci sono percentuali da incassare.
Solo una direzione chiara: fare informazione, senza compromessi.
Per coerenza, chi sceglie il mestiere di formatore deve automaticamente prendere le distanze dagli sponsor; altrimenti sarebbe davvero contraddittorio fingere obiettività fuori dall’aula per poi rivendicare il ruolo di fonte di verità una volta in cattedra.
La mia voce, la mia scelta
Non rincorro sponsor.
Non adatto i miei contenuti alle richieste del mercato.
Non ho bisogno di filtri quando ho qualcosa di vero da dire.
La mia informazione nasce da un'urgenza sincera, da un bisogno interiore di restituire chiarezza, profondità, consapevolezza.
E se questo significa procedere più lentamente, accetto il ritmo.
Perché la mia libertà vale più di qualsiasi collaborazione.
E perché oggi più che mai sento che c’è bisogno di voci libere, che non abbiano paura di essere scomode ma vere.
Perché questo, per me, è l’unico modo possibile di fare informazione.


